Silenzio

Si chiude in silenzio il giorno su di un’altra giornata tragica.

Ancora una volta sento dire che siamo in guerra. Ancora una volta tutti siamo qualcun’altro. Charlie Hebdo, Paris, Ankara, oggi Bruxelles.

Eppure non mi sento parte di questo mondo che alza barricate, che inneggia alla pulizia etnica, che la fa semplice. Non c’è niente di semplice né di giusto nello scontro di due mondi resi uguali solo dalla minaccia e dalla paura della morte.

Vorrei che si facesse silenzio.

Non il minuto sterile di quando ormai si è perduto, ma nel raccoglimento, quello vero, dei pensieri. Per cercare di capire. Per sentire con il cuore.

Vorrei che le testate giornalistiche togliessero i titoli in grassetto, rimuovessero le immagini con il sangue, coprissero l’audio con le urla dei bambini. Non per censura, ci mancherebbe!, ma perché non ci serve a nulla moltiplicare l’orrore.

Ci stiamo già sguazzando nell’orrore e, a furia di nuotarci dentro, finiremo per abituarci alla disumanità.

Quella che ci fa tornare indietro di 70 anni a un’orribile shoah senza nemmeno sapere da che parte siamo. A turno vittime e carnefici, semplici burattini delle nostre incontrollate emozioni.

 

Un mondo ingiusto

Inutile illudersi. Il mondo non è giusto. E’ forse giusto per la gazzella essere sbranata dal leone?

Non so se esista un dio, secondo me, no. Credo che sia solo una pia illusione per non arrendersi alla brutale evidenza dell’ingiustizia del mondo.

Ma se anche esistesse, non credo che sarebbe suo compito evitarci le brutture di una storia che ci vuole colpiti da guerre, malattie, odio e paure.

Sarebbe un compito molto più umano quello di non odiarci a vicenda e, almeno là dove possiamo far qualcosa che non richieda necessariamente un intervento sovrannaturale, metterci del nostro per renderci questa permanenza sulla terra meno gravosa di quello che poi lo diventa.

Passino le malattie, le disgrazie, gli incidenti, persino i terremoti e le calamità naturali. Qualcosina potremmo fare anche per evitare in parte quelle, ma non siamo perfetti e allora, pazienza, quelle prendiamocele per buone.

Ma l’odio gratuito, dai, ragazzi, quello perché?

Che male vi fanno 20 disperati che chiedono solo di vivere come tutti noi?

Da dove vi nasce quella diffidenza ingiustificata, quella paura del diverso, quell’ansia di volervi sentire più giusti, più puri, più forti solo perché dotati di un passaporto o di una carta d’identità?

Vivreste molto meglio anche voi se vi accostaste agli altri senza presunzione di essere migliori.

Ho imparato ad accettare che il mondo non è giusto. Lo sarebbe un po’ di più se voi imparaste ad accettare i mondi altrui.

Le mie lacrime inutili

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Me ne sto comoda in poltrona, con la mia calda copertina di pile a tenermi i piedi tiepidi. Intanto guardo Report e mi incazzo un po’, così di prassi, per gli sprechi della pubblica amministrazione. Nella mano lo smartphone, perché su Facebook è caldo il tema dei migranti e qui ci si accapiglia di brutto tra fazioni di chi crede nell’accoglienza (i cosiddetti buonisti) e chi si innervosisce di fronte a tanta spregiudicata discriminazione proprio verso gli italiani, che vengono sempre penalizzati a discapito degli stranieri (almeno così dicono i cosiddetti razzisti, quelli che iniziano sempre un post dicendo io non sono razzista, ma..).

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Il bello delle rughe

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Leggo su Huffington Post la storia di Tess Christine, la donna che da quarantanni non sorride allo scopo di prevenire le rughe.

E, a quanto pare, con ottimi risultati.

Del resto, mi pare ovvio: le rughe stanno al viso come le pieghe a un foglio di carta, più lo pieghi e più sarà spiegazzato, se lo tieni bello disteso, lo conservi all’infinito.

Tralascio le polemiche che ne sono seguite, ovviamente, tra chi stigmatizza come assurda questa condotta di vita, e chi l’assolve in nome della bellezza. Le tralascio anche perché non è mio interesse schierarmi, ma semplicemente trarne uno spunto di riflessione.

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Oggi il sole

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Oggi il sole mi buca gli occhi

a tratti vedo di te, di me

quello che non conosco


quello che ho voluto,

quello che non ho potuto

e le ali che mi hai regalato

quelle che mi hanno restituito

il volo.

La base del successo

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Sovente mi chiedo, un po’ come tutti, che cosa sia il successo.

C’è chi lo interpreta come realizzazione personale nel lavoro, chi negli affari, chi nella famiglia o nell’amore.

Io non ho mai avuto ben chiaro che cosa volesse dire per me, ma, probabilmente per l’esempio forte che ho avuto fin da bambina dalla mia famiglia, l’ho sempre inconsciamente legato al concetto di impegno.

Tra l’altro, sono nata spaventosamente normale, non troppo intelligente, non troppo bella, non troppo in gamba, come invece ho sempre avuto l’impressione di vedere gli altri attorno a me, e ho sempre faticato per raggiungere gli obiettivi che mi mettevo davanti, di volta in volta.

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